https://tilthe.tumblr.com/post/47601993753/bande-a-part-jean-luc-godard-1965

 

Evviva, abbiamo aperto il Museo! Ci sono voluti 109 anni dal sisma, 104 anni dal primo progetto di Valenti, 64 anni dalla costituzione del primo nucleo nella ex filanda,  61 e 56 anni dai progetti dei funzionari statali, 41 dal primo progetto finanziato dalla cassa del Mezzogiorno a firma di Carlo Scarpa e Roberto Calandra poi dimenticato; poi 34 anni di tempo tra  l’appalto concorso vinto dalle imprese D’Andrea-Edilfer con il progetto architettonico di Fabio Basile, Manganaro e De fiore per  la costruzione  dell’involucro; 26 anni sono passati  dall’inizio del successivo progetto di riconfigurazione e allestimento interno dell’architetto Virgilio con la direzione museale Cicala Campagna e poi ancora altri 11 per i completamenti e adeguamenti portati avanti dall’architetto Anastasio con la direzione museale Barbera e Di Giacomo.

 

 

 

Ci sono voluti 9 direttori del museo che si sono susseguiti dal terremoto in poi, tanti funzionari del museo e restauratori, svariati amministrazioni regionali, tanti ma chissà quanti assessori regionali, decine di dirigenti e lavoratori. Quello che nelle dinamiche finanziarie costruttive e mediatiche dei  tanti musei contemporanei, appare veloce, qui ha assunto la complessità lenta e meridiana della parlata lenta, metafora allusiva di una Italia meridiana e di una Sicilia complicata

Il tempo però è una delle variabili delle costruzioni, per fabbricare ci vuole il tempo e i soldi,  il tempo spesso scavalca e calpesta  lo stesso significato delle cose, scavalca l’urgenza, le voci,  poi però arriva pure un tempo nuovo in cui le cose accadono.

Alcune fabbriche di edifici sono più o meno, sfortunate, collezionano incidenti, anche errori di concezione, sbagli tecnici e amministrativi, dissonanza tra domanda e risposta o spesso la domanda della società e la risposta del potere, degli architetti e degli esecutori vive in asincrono .

I cento e più anni della fabbrica del duomo di Siena, le tante chiese non finite, le incompiute della storia, i san Petronio, il tempio Malatestiano, le stratificazioni urbane, le fabbriche infinite dei grandi sistemi basilicali, le vicende tortuose di tante opere dell’archiettura moderna, le epopee costruttive ,ci stanno a dire che non tutto è liscio come l’olio e che il tempo della costruzione non vive di funzioni lineari.

Il viaggio pubblico dentro l’edificio del Museo di Messina finalmente aperto è un viaggio strano. Quell’edificio stava lì da decenni appoggiato sulla spianata di San Salvatore dei Greci, invecchiava con noi, segnava un limite fortificato tra sistemi di città, marcava un luogo senza essere utilizzato; eppure da anni e anni qualcosa accadeva lì dentro, una storia dentro la storia, lenta, sincopata, creativa, burocratica, accelerata. Una storia spesso interrotta e poi ancora riattivata febbrilmente.

 

 

Le fabbriche delle costruzioni sono strane, poichè dilatano l’esattezza del tempo di programma  e lo modellano su quella della società, meno la società è attenta più il rischio è quello di allungare le scadenze, meno c’è domanda meno c’è urgenza di risposta.

Quell’edificio visto da fuori era come un parente un po’ strano di cui sapevamo la gloriosa storia, ma di cui ci eravamo un po’ dimenticati, stava con noi, lo facevamo stare a tavola con noi ma era una convivialità senza discorsi, eppure lui era vivo. 

In questi anni la presenza dell’edificio in apparenza finito conviveva con una città che tutt’intorno lo ignorava e faceva altro. Una presenza solida di un corpo a basso contenuto d’immagine architettonica, per capirsi niente d’iconico, niente di epocale, nessun messaggio o figurazione accattivante. Le stagioni passavano e nel giardino della memoria intorno al museo si piantavano frammenti architettonici, porzioni di portali sontuosi e fontane della città, una ricomposizione di figure in frantumi, le stagioni passavano e l’erba verde, la flora improvvisa e i fili gialli, le gramigne secche o le verdi ferule sommergevano facce di mostri decori barocchi e le aquile borboniche.

Fuori era immobile ma dentro la sua pancia continuava a comporsi e ricomporsi l’organismo. Da dentro uomini e donne lavoravano, piccoli passi, grandi passi, spostamenti, micromovimenti e poi  procedure oppure  cose solo dure a digerirsi .

La fabbrica costruttiva, il cantiere degli allestimenti e della costruzione scientifica dei progetti (museali) non è mai un’azione individuale ma un’incredibile azione collettiva composta da migliaia di azioni individuali che si ricompongono  collettivamente alla fine e con sorpresa in un organismo vivo. 

Oggi sono percorribili 4500 mq di esposizioni, poi 3000 di spazi a servizio , poi altri 5000 esterni e poi ancora altri 1000 della vecchia filanda per le esposizioni temporanee. Dicono che il percorso cronometrato, con i fili multipli di lettura, le trame fitte e le trame lasche, con le gemme e le costellazioni di opere è di circa 120 minuti per attraversare 27 secoli di arte, lavoro umano, cultura e urbanità .

Io sono lento e non ho finito, ho visto il debutto per emozione e necessità, come evento comunitario prima ancora che come esperienza museale. Ho filtrato la storia con le immagini dei quadri, con i frammenti architettonici e scultorei, con quello che so e tutto quello che posso imparare. 

La festa di apertura è tante cose insieme, spazio di comunità, rappresentazione, discorsi, città, persone, ruoli, baciate, strategie, accordi, sorrisi, veleni. 

Un quadro della collezione La Madonna del Rosario del Museo Regionale di Messina, databile al 1489, è un’imponente pala d’altare proveniente dalla chiesa di S.Benedetto aldilà del significato artistico e attributivo è un quadro che schiera alla destra e alla sinistra del soggetto di culto le figure del potere, i notabili, i protagonisti, ecco all’inaugurazione c’era un po’ la stessa immancabile rappresentazione da portare nella memoria individuale e collettiva. Il soggetto e le schiere!

I musei sono tante cose, sono una macchina scientifica della narrazione della memoria culturale, sono luoghi di città e di esperienza, sono riferimenti spaziali, sono quello che riassumono e quello che proiettano, sono sempre e comunque un’occasione.

Di sicuro il museo di Messina soprannominato all’ultimo momento con una sigla MuMe che ahimè non ritrovi neanche nel cartello d’ingresso, è un’esperienza non banale, dentro c’è bellezza e complessità nelle opere, anche tanta eccedenza di allestimento, alcune ridondanze dell’architettura d’interni, ma anche una modalità di percorso architettonico:  un modo di affacciarsi,  risalire, inquadrare, ritrarsi, vedere, osservare, scorgere prospettive, lampi  e scorci di paesaggio. E’ un po’ come avviene camminando nelle città dove mai nulla è scontato, dove non tutto ti piace, ma insieme si tiene o s’incastra. Poi le opere raccontano vicende incredibili cui sarà necessario accompagnare successivi supporti didattici e topografici.

L’archeologia, i dipinti, le sculture, i frammenti architettonici, nel nuovo spazio rimandano in circolo dopo tanti anni di attesa (e più di 100 dal sisma) non solo il passato e le antiche vestigia ma un’idea di città cosmopolita, che connetteva esperienze globali e locali. Tantissimo da imparare rispetto al martellante localismo del presente . 

Ecco il muso ora c’è, non consente più alibi, avrà bisogno di risorse per farlo vivere e programmare, avrà bisogno di finanziare la realizzazione di attività di servizio per la libreria e la caffetteria e i servizi collegati con i visitatori, avrà bisogno di risorse per la proiezione sul mondo.   Intorno, la città fisica ha bisogno di essere migliorata e integrata al polo, va curata , pulita come non si è fatto neanche nella giornata di apertura,  va ridato senso urbano alle sue parti sfilacciate e marginali, fuori dalle assurde vicende proprietarie tra enti diversi sull’appartenenza delle aree di costa, va ricompreso il ruolo di città e comunità. Forse vanno anche omaggiati attraverso i nomi e la toponomastica di tutti i luoghi intorno al museo tutti quei soggetti che nella storia museale della città ebbero il ruolo assoluto, salvando le opere, liberandole dalle macerie del vecchio museo civico e delle chiese distrutte. Un omaggio ad Antonino  Salinas e Gaetano Columba potrà farsi chiamando il viale o i giardini urbani che sono lì intorno.

Oggi il polo del museo è un frammento urbano che ricompone altri frammenti; frammento nella lingua italiana significa un piccolo pezzo staccato per frattura da un corpo qualunque. Questo esprime una speranza, ancora una speranza, e come tale trova confronto con il rottame, che esprime una moltitudine o un aggregato di cose rotte. In questo significato, rottame potrebbe essere il corpo della città futura se le cose non dovessero cambiare e sempre più̀ fosse accettato il disordine come dato e una scarsa o casuale previsione del futuro. Per questo credo anche nella città futura come quella dove si ricompongono i frammenti di qualcosa di rotto dall’origine

Dal blog:  https://corpodellecose.wordpress.com

 

 

 

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Pino
Pino
22 Giugno 2017 5:34

Un pezzo straordinario, da incorniciare!