MESSINA. Il 2 settembre saranno tre anni da quando il comune di Messina, con voto del consiglio comunale, ha chiesto al ministero dell’Interno di poter accedere al piano di riequilibrio decennale per il rientro dai debiti. A qualche mese dal triennio secco, il ministero risponde. Ma non per sciogliere il nodo. Scrive per chiedere integrazioni alla documentazione. Ventiquattro punti, al quale l’amministrazione dovrà rispondere.

“Il Comune ha approvato un piano decennale, con accesso al fondo di rotazione, che evidenziava una massa passiva da 331milioni di euro “tra debiti fuori bilancio e passività potenziali”, scrivono dal ministero. Di istruttoria in istruttoria, il Comune ha rimodulato il piano, in accordo con le obiezioni sollevate dalla direzione centrale della Finanza locale, fino alla “versione finale” del piano, votato dal consiglio a fine settembre 2016. Su quel piano, ancora il ministero non si è espresso. Prima di farlo, ha chiesto altra documentazione. Quale?

Pronunce della Corte dei conti e misure correttive conseguenti adottate, il rispetto del patto di stabilità per gli anni dal 2014 al 2016, il monitoraggio sul raggiungimento del saldo di finanza pubblica nel 2016, andamenti di cassa con quantificazione delle anticipazioni di tesoreria usufruite (e restituite) dal 2014 e 2016, l’anticipazione di liquidità da parte della cassa depositi e prestiti, l’accesso al “fondo di rotazione”, l’analisi sugli equilibri di bilancio di parte corrente e capitale. Basta? Nemmeno per idea.

Tra un “risultato di amministrazione e di gestione”, un riaccertamento straordinario dei residui e un’analisi dei debiti fuori bilancio, l’organo del ministero dell’Interno vuole di fatto conoscere lo stato finanziario del Comune. Che passa anche dalle passività potenziali da contenzioso e dalla capacità di riscossione dei tributi e dagli esiti dell’attività di contrasto all’evasione.

Ovviamente, non può mancare un riferimento al personale, del quale si vuole conoscere l’entità, ed alle partecipate, vera e propria palla al piede di Palazzo Zanca, per finire col piano di dismissioni dei beni immobili dell’ete, che dovrebbero portare liquidità in cassa.

 

 

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