Addamanera

 

In riva allo Stretto le cose non si fanno bene o male, non sono belle o brutte, né tantomeno giuste o sbagliate. A Messina le cose, le circostanze, persino le persone, sono “addamanera“, qualsiasi cosa questo possa significare. Si parla di un bel taglio di capelli? È un taglio “addamanera“.  Si parla di un pessimo taglio di capelli? È ugualmente un taglio “addamanera“, una parola dal significato così vasto che può contenere tutto e il contrario di tutto, una caratteristica e il suo opposto, un valore univoco ma anche la sua contraddizione in termini.

La cosa più incredibile, in tutto questo, è che qualsiasi cosa “addamanera” stia a significare in un particolare contesto, il messinese lo capisce lo stesso. Tutto chiaro. Non serve dire altro. 

Entra qui in gioco una delle caratteristiche fondamentali e più importanti del linguaggio: la capacità interpretativa. Nel suo saggio “Lector in Fabula”, pubblicato nel 1979, Umberto Eco sosteneva che ogni testo è intessuto di spazi bianchi, di interstizi vuoti da riempire. Un testo è essenzialmente un meccanismo pigro, scriveva il semiologo, il quale probabilmente non sapeva, malgrado le sue innumerevoli lauree honoris causa, di quanto a Messina la poltroneria potesse raggiungere vette vertiginose da guinness dei primati, roba da far invidia a Ciccio di Nonna Papera durante la siesta pomeridiana. Difatti, senza sapere né leggere né scrivere, noi messinesi lo abbiamo preso alla lettera, forgiando questa parola passepartout di cui si si deve fidare, senza troppi formalismi semantici: se una cosa è addamanera è addamanera e basta, e l’unico modo per darle un senso compiuto è quella di affidarsi al contesto o alla mimica gestuale. Ma è un’esigenza – e uno sforzo, soprattutto – di cui facciamo volentieri a meno.

 

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