Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un report che testimoniava il progressivo ma inesorabile esodo da Messina. Qualche settimana prima, avevamo spiegato che ad andare via sono soprattutto i giovani.

Sulle ragioni di questo disastro generazionale ci si interroga da anni, da quando le statistiche hanno iniziato a segnalare il trend ed i numeri a confermarlo. Ma se ne è sempre occupato chi giovane non è. Politici, sociologi, demografi. Noi della stampa. Sempre dall’esterno. Senza il coinvolgimento e l’esperienza diretta di chi di questo cambiamento epocale ne è protagonista e lo sta vivendo sulla propria pelle, 

LetteraEmme vuole dare la parola a chi è andato via, vorrebbe tornare, ma non trova terreno fertile, stimoli, motivazioni. Condizioni oggettive. Ricominciare da loro, da chi è stato costretto dalle circostanze a diventare un emigrante. Per questo, riceviamo un contributo da Massimo Conti Nibali, dell’associazione Fuori di Me, che pubblichiamo volentieri

 

Avevo 18 anni quando sono andato via da Messina per trasferirmi a Milano, e l’ho fatto ponendomi una domanda, che ancora oggi mi torna in mente quando la mattina mi preparo per andare a lavoro, quando sono al telefono con la mia famiglia o anche semplicemente quando scorro la home di Facebook libero da altri pensieri: “Tornerò a vivere a Messina?”. ​A questo interrogativo non so e forse nemmeno voglio rispondermi, preferendo piuttosto cercare di capire quali sono le ragioni per cui da Messina le persone, soprattutto i giovani, si allontanano. 

E se le 1.500 anime in meno rispetto allo scorso anno fanno già scalpore, fa ancora più effetto pensare come questa cifra sottostimi l’effettivo esodo di messinesi, escludendo coloro che si trasferiscono senza modificare lo stato di residenza. Ma perché sta succedendo?

C’è un trend globale, che va in una determinata direzione e dal quale anche Messina è stata inghiottita. La globalizzazione, con il motore dello sviluppo tecnologico, ha cancellato confini geografici e mentali rendendo realtà concreta la possibilità di spostare beni, denaro e persone a basso costo. E i centri in cui il capitale economico e umano in movimento si vanno a riversare sono le grandi città, ossia quelle già pronte a recepire quell’ondata di investimenti di provenienza internazionale che le rendono poi attrattive per chi vuole costruirsi un futuro rimanendo al passo con i tempi. 

Il risultato di questo processo è che ci confrontiamo da un lato con poche e sempre più grandi metropoli, multi-culturali e con i canoni di locazione immobiliare alle stelle, e dall’altro con lo svuotamento dei piccoli centri: prima è stato il turno dei paesini dell’entroterra regionale, adesso quello dei centri di piccola e media dimensione, con il famoso “divario” che si fa sempre più ampio. Nessuno pensa che diventeranno deserte a breve, ma anche Pescara, Palermo, Bari o Napoli perdono ogni anno tanti giovani. C’è una realtà messinese povera di prospettive. E diciamolo francamente, perché in maniera generalizzata tra giovani e adulti, chi si sposta dalla nostra città in età lavorativa lo fa spesso perché non vede la possibilità di costruirsi un percorso di carriera. 

A Messina l’indice di dipendenza degli anziani è del 54,3% contro una media nazionale del 34,8%: ciò significa che sulle spalle di 100 lavoratori messinesi ci sono 20 ultra-sessantacinquenni in più che nel resto d’Italia.  E coloro che escono dal mondo del lavoro contano per il 35% in più rispetto a chi vi fa ingresso. Ma la disoccupazione, e più in generale lo scetticismo di chi si affaccia sul mondo del lavoro, nel caso della nostra città presenta anche degli aspetti peculiari, specialmente per i laureati. 

Messina non è in crisi perché è scomparsa la grande industria e non lo è nemmeno perché il terziario avanzato ha traslocato altrove: questi settori non hanno mai rappresentato il cuore pulsante dell’economia dello Stretto. Più di altre località Messina soffre la crisi degli Ordini Professionali, quelli che hanno spesso accolto a braccia aperte la generazione degli anni ’50 e ’60 e che la crisi economica, di pari passo con l’evoluzione tecnologica, ha messo in ginocchio. 

Lo dicono i numeri: su base nazionale, in 10 anni i candidati all’esame di abilitazione per Dottori Commercialisti sono diminuiti del 43,5% mentre i redditi dell’area forense si sono ridotti in media del 14,7%, con il 56% degli avvocati che oggi guadagna meno di 20.000€ all’annoFacile comprendere come l’incidenza di questi fattori su Messina sia particolarmente elevata, vista la scarsa diversificazione del nostro tessuto economico.  

Ci sono tante altre criticità, che sono frutto dell’impietoso incrocio di fenomeni transnazionali e locali, di interessi personali e collettivi, del conservativismo politico e dell’inefficienza pubblica, della povertà culturale e della cultura dell’illegalità e tutte, all’unisono, contribuiscono a rendere Messina, come altre città nel panorama italiano, luogo da cui le persone scelgono di andare via. Nostro compito, come cittadini messinesi nel cuore a prescindere dalla residenza fisica, è stimolare un dibattito che funga da propulsore a politiche di sviluppo locali che possano migliorare la situazione in un orizzonte di lungo termine. Un compito che non si può più demandare alla politica, vista la comprovata incapacità di assolvervi, al di là delle intenzioni.  

Io credo che prima di lottare perché da Messina le persone non partano, bisognerebbe spingere affinché vi arrivino. In altre parole, la città deve diventare interessante prima di tutto da un punto di vista esterno per poterlo essere realmente anche per chi la vive, mettendo da parte affetto e sentimenti. Come? Alcuni spunti da cui partire nel breve/medio periodo.

Puntare sull’università. I piccoli e medi centri che sopravvivono al cannibalismo delle metropoli sono quelli che diventano dei luoghi di specializzazione, delle nicchie di valore, spesso nel ramo della formazione e ricerca accademica. L’Ateneo messinese ha un’importanza storica e le associazioni studentesche si impegnano ogni giorno per creare un ambiente stimolante per gli studenti dal punto di vista culturale, sociale e sportivo. 

 Il passo successivo, ma fondamentale per un salto di qualità, è quello di dare una prospettiva meno locale all’Università di Messina rendendola così davvero appetibile per i diplomati di tutto il Paese. E per entrare nei loro desideri un Ateneo moderno non può prescindere da: un campus, per il quale servono investimenti ma per quanto concerne le strutture sportive le risorse presenti sono già un’eccellenza; collegamenti chiari, diretti e visibili con il mondo del lavoro, che sono sempre più richiesti da chi sa di dover cercare occupazione nel settore privato: i career day devono essere il fiore all’occhiello dell’attività accademica annuale di facoltà come Economia, Ingegneria e Giurisprudenza per citarne alcune. Organizzare eventi che diventino appuntamenti fissi messinesi. Tante città o piccoli centri derivano la propria notorietà da fiere, festival e altre occasioni in cui riescono ad attrarre flussi di persone interessate a un particolare argomento: la cultura, lo sport, la gastronomia ad esempio. 

Ora, Messina ha dato i natali a tante eccellenze che oggi tengono alto il nome della nostra terra in città o in giro per il mondo. Perché non richiamarne alcune per organizzare incontri, manifestazioni culturali o altri eventi che possano beneficiare del loro blasone e dei loro contatti per essere da subito noti e attraenti? Nell’estate 2015 Michele Ainis, durante una conferenza in riva alle acque dello Stretto, discuteva della possibilità di organizzare annualmente un festival di saggistica politica proprio a Messina, di cui lui sarebbe potuto essere promotore e testimonial. Ecco, questo è solo un esempio, ma se proviamo a pensare che movimentazione potrebbe produrre in termini di pubblico extra-messinese e stampa nazionale e che circuito economico potrebbe attivare in funzione di una partecipazione numerosa, sembra evidente che potrebbe essere una boccata d’ossigeno per la città.

Non sarà mai il G7 di Taormina, ma se Trento e Mantova, con i Festival dell’Economia e della Letteratura, costruiti e migliorati con cura negli anni, sono riusciti a farsi conoscere e apprezzare da grandi platee pur non essendo tra i comuni italiani più famosi, allora credo che valga la pena impegnarsi affinché anche Messina possa giocarsi le sue carte in tal senso.  Presentare un’offerta turistica.

 

Non esiste al momento un’organizzazione turistica che permetta alle nostre risorse di competere con molte altre località italiane. Ed è inutile pensare a investimenti infrastrutturali milionari, per lo meno nel breve termine. Ciò non toglie che si debba iniziare un’attività sistematica volta a porre Messina, soprattutto nel periodo estivo, come concreta alternativa tra le mete di chi programma le proprie vacanze. E quindi segmentare il mercato, trovare il target di turisti di riferimento e garantire un sistema di collegamento tra strutture ospitanti e attrazioni che possa permettere un gradevole soggiorno nella nostra terra. Perché, ad esempio, giovani di età compresa tra i 20 e i 30 anni non potrebbero scegliere di trascorrere a Messina anziché in Puglia una settimana d’agosto

Abbiamo offerta di appartamenti da affittare, mare e spiagge invidiabili, una varietà culinaria riconosciuta e un intrattenimento serale vario e ben organizzato. Il tutto a un costo, per il momento, competitivo rispetto a mete più affermate. Bisognerebbe definire una programmazione del trasporto pubblico ad hoc, ma una base interessante esiste già. Del resto lo diciamo sempre che “Messina potrebbe vivere di turismo”… Bene, allora iniziamo.

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linda
linda
18 Giugno 2017 16:23

Bellissima testimonianza. Io spero di poter tornare 🙂