Esistono nelle forme di arredo urbano manufatti destinati, in determinati contesti, a trasformarsi in modelli archetipici, divenendo quasi oggetti calati dal cielo in un illud tempus metastorico e mitico, al pari della pietra nera alla Kaaba o di un menhir neolitico a Stonehenge.

Così pare essere avvenuto anche a Messina, città che in quanto a sperimentazioni è ormai chiaro che non si faccia mancare niente. Da una graticola-madre, l’ur graticola di Piazza Cairoli, sono scaturite altre creature consimili, le graticole che adornano e punteggiano il lungomare di via Libertà, zona Ringo per intenderci: quattro strutture che stanno lì cercando di convincerci di servire a qualcosa. A cosa serviranno? Probabilmente tale dato sfugge anche a chi le ha pensate, progettate, finanziate, realizzate. Stanno erette lungo il viale, a cadenza regolare, quasi fossero in attesa ognuna del suo bel ciclope che vi ponga sopra delle enormi costate di maiale e poi vi accenda sotto un fuoco adeguato per arrostirle.

La tarìgghia di Piazza Cairoli funge da scenografica cornice all’osceno trenino di superficie che ci ostiniamo a chiamare tram, quello che da anni imbruttisce vieppiù la nostra città già di per sé poco amena. Le quattro tarìgghie del litorale nord (che potrebbero poeticamente adombrare il monolite di 2001 Odissea nello spazio) forse attendono ancora di conoscere il proprio reale télos. Si propongono probabilmente come objets trouvés posti proprio per ricordare che l’arte – lo diceva Marshall McLuhan – è qualcosa con cui la si può sempre fare franca.

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