Braccio di ferro tra la Soprintendenza di Messina e la casa d’aste Bonino. Quest’ultima aveva messo in vendita i beni dell’hotel San Domenico di Taormina, ma proprio il giorno in cui iniziava l’asta, l’1 marzo, entrava in vigore il vincolo che tutelava i pezzi in vendita, vincolo firmato il 7 febbraio. L’asta è stata successivamente sospesa dalla casa d’aste, il 15 marzo, ma soltanto il 19 i pezzi all’asta sono stati eliminati dal sito della Bonino. Nel frattempo uno scontro a suon di diffide e lettere che ha sancito la contesa: “A seguito di diffida della Soprintendenza di Messina, il link al catalogo dei lotti afferenti all’Hotel San Domenico è stato temporaneamente disattivato”, questo ha pubblicato la casa d’aste. “Non intendiamo interferire con la vendita ma di certo vogliamo tutelare i principi statuiti dal vincolo”, spiega, invece, il soprintendente di Messina, Orazio Micali.

Ma partiamo dall’inizio.

L’anno scorso l’hotel San Domenico è stato venduto all’asta, acquistato dall’immobiliarista Giuseppe Statuto che ha battuto lo sceicco Hamad Bin Jassim Al-Thani della famiglia reale del Qatar offrendo 52,5 milioni di euro. Statuto ha però acquistato la struttura, e con questa alcuni dei beni, appunto definiti “strutturali”, mentre i beni “mobili” appartengono ancora alla Amt Real Estate Spa, poi fallita. Il curatore fallimentare ha messo all’asta i beni, asta curata dalla Bonino.

“In ballo ci sono, dunque, le sorti di 167 opere  – come scrive Manuela Modica su La Repubblica   tra quadri di pregio, bassorilievi, portali di accesso alla sacrestia, perfino giare, panche, librerie e il sarcofago di un rampollo della famiglia Corvaja, morto all’età di 17 anni. Opere che la Bonino stima, al massimo, valgano poco più di un milione 700 mila euro: dal piatto di 50 euro al portale monumentale di 150 mila. Ma che secondo la Soprintendenza valgono di più: valgono la tutela. Non singolarmente ma tutte assieme, secondo la Soprintendenza, costituiscono il corpus inestimabile di uno degli alberghi più famosi al mondo. Perché l’opera d’arte è l’albergo stesso: “Inaugurato nel 1896, conserva un complesso di opere di eccezionale interesse storico-artistico e documentario riconoscibile in gran parte all’antico Convento di San Domenico e alla chiesa annessa”. In vendita alla casa d’aste romana erano fino a domenica in vendita, cioè, gli arredi, le strutture (anche quelle), le opere di un albergo sviluppatosi all’interno di un antico convento domenicano dal 1374, ovvero da quando “Fra Girolamo De Luna nobile taorminese di origine catalana, ottiene di istituire una casa di frati predicatori annessa all’antica chiesa di Sant’Agata”.

Bassorilievo raffigurante La Madonna con Bambino, donatore, Sant’Agata e San Giovanni Battista Marmo scolpito – cm 86,5 x 67 – Ignoto scultore siciliano, fine secolo XIV – inizi seccolo XV

Questo scrive la Soprintendenza peloritana nel vincolo firmato il 7 febbraio ed entrato in vigore il primo marzo, lo stesso giorno in cui iniziava l’asta, poi infatti sospesa – il 15 marzo – dalla Bonino. I lotti del San Domenico, 167 su 637 di tutte le opere degli alberghi siciliani battute all’asta, possono essere venduti, anche singolarmente al compratore, ma non possono essere separati l’uno dall’altro e rimossi dal San Domenico. E non stupisce che il convento-albergo di Taormina sia oggetto di diatribe: già nel 1897, Giuseppe Patricolo, direttore dell’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti della Sicilia, indirizzava al prefetto di Messina una lettera per chiedere il divieto di “alienazione dei beni artistici del convento”. Dal 1897 ad oggi. Sulla vendita dei beni siciliani della casa d’aste Bonino è ormai guerra dichiarata. La Bonino, infatti, aveva annunciato a febbraio e lanciato a marzo la vendita di alcune centinaia di opere d’arte e d’antiquariato distribuite in sei hotel siciliani che ne compongono il patrimonio immobiliare. Tra questi il noto ritratto di donna Florio e la ricca collezione del San Domenico, l’albergo acquistato l’anno scorso dall’immobiliarista Giuseppe Statuto che ha battuto all’asta lo sceicco Hamad Bin Jassim Al-Thani della famiglia reale del Qatar offrendo 52,5 milioni di euro. Statuto ha però acquistato la struttura, e con questa alcuni dei beni, appunto definiti “strutturali”, mentre i beni “mobili” appartengono ancora alla Amt Real Estate Spa, poi fallita, sono quindi responsabilità del liquidatore giudiziario: la Bonino ha perciò battuto l’asta per beni già di proprietari diversi. Opere però adesso vincolate. Un vincolo che “non impedisce la vendita a più proprietari – chiarisce il soprintendente di Messina, Orazio Micali – ma che tutela l’intera collezione, formatasi nei secoli nell’ex monastero: i pezzi sono inamovibili e non possono essere smembrati”. Vincolata, dunque, l’interezza della collezione, il singolo pezzo può esser venduto ad un singolo compratore ma non può essere mosso dal San Domenico né separato dagli altri: la sintesi è questa. 

Rilievo raffigurante San Francesco da Paola. Marmo scolpito, h cm 15. Ignoto scultore siciliano, fine sec. XV

Il vincolo sembra però messo in dubbio dalla stessa Bonino, che già s’era premurata nel sito di elencare uno per uno tutti i vincoli, addirittura anche quelli del 1915 ma che nel sito sottolinea: “La procedura giudiziaria sta valutando la legittimità del Ddg n. 287, pervenuto al commissionario via pec il 1 marzo 2017 (ore 18.33), che qui si pubblica a fini di massima trasparenza”. La Bonino dunque pare avvertire il compratore che il tribunale sta valutando se il vincolo (Ddg n. 287) della Soprintendenza di Messina sia legittimo. Lettura che deve aver fatto balzare dalla sedia più di qualcuno a Messina. La soprintendenza dello Stretto ha infatti inviato una diffida alla casa d’aste per chiedere chiarimenti: “Non è una guerra, è una precisazione di ruoli a garanzia di una tutela dei principi statuiti dal vincolo – spiega Micali -. Siamo venuti a conoscenza che c’era una procedura d’asta che vedeva interessati i beni dell’hotel San Domenico, abbiamo guardato le modalità e i contenuti, abbiamo letto con attenzione all’interno delle note informative e riscontrato elementi che a nostro modo di vedere non rispondevano appieno ad un’informazione chiara e precisa”. Più d’uno, secondo il soprintendente, i punti da rendere più evidenti: “Un punto chiave è che la collezione non può essere mossa dal luogo al quale è appesa, cioè è inamovibile. Non ci è parsa sufficiente la parte dell’informazione che la casa d’aste forniva: l’ipotetico acquirente deve sapere in maniera incontrovertibile che non può mettere “in borsa” il bene acquisito”. Ma c’è un altro punto che ha infuocato la querelle con l’ente siciliano: “È quello in cui inserisce una forma dubitativa sulla validità giuridica del decreto di vincolo. Un dubbio che eventualmente può essere sollevato dal liquidatore giudiziario nel luogo deputato: il tribunale, non nel sito di un’asta. In risposta a questa nostra nota abbiamo ricevuto mercoledì sera, una lettera che pare confermare i due punti che ci lasciavano perplessi. Il condizionale è tuttavia d’obbligo, la risposta della casa è al vaglio del nostro ufficio legale. A noi basta che siano chiariti i punti fondamentali: le opere non possono essere rimosse e il vincolo non è sottoposto a nessuna verifica di legittimità: è legittimo, punto. Qualora dovesse esprimersi un tribunale diversamente ne prenderemo atto tutti quanti, nel frattempo in sede di pubblicità non si può inserire una formula dubitativa. Tutto questo non può essere interpretabile, deve, invece, essere chiarissimo anche per le traduzioni nelle varie lingue”. 

 

Rilievo raff. San Domenico. Marmo scolpito, cm 150 x 52. Ignoto scultore siciliano, fine sec. XV

Lingue in cui non sarà facile tradurre neanche la differenza tra beni strutturali e pertinenziali. Quel che risulta semplice, invece, è che il lungo elenco dei 167 lotti narra la storia dell’hotel San Domenico, una storia secolare che come un filo conduttore lega un bene ad un altro “e ne costituisce l’interesse storico e pubblico da tutelare”, secondo qualcuno potrebbe dare vita a un vero e proprio museo, tra strutture murarie dell’ex convento, mobili d’antiquariato e quadri. Tra questi ultimi spicca l’opera di François de Nomé, meglio noto come Monsù Desiderio, ma non solo: è un lungo elenco di manufatti, monumenti, affreschi della scuola siciliana, napoletana, meridionale, francese. Ma ancora: marmo e pietre scolpite sono i portali di accesso alle sacrestie, per non dire della testimonianza dell’arte artigianale siciliana nei secoli, oltre i bassorilievi e soprattutto gli altari. Beni il cui interesse sembra ora al centro di una lotta, sostenuta da un lato da un ente pubblico: “L’interesse pubblico prevale su quello privato – continua Micali – e che il vincolo sia sopraggiunto a febbraio non può stupire: lì dove si accende l’interesse per un bene storico, quello è il momento in cui la Soprintendenza ha tutto il diritto e l’urgenza di intervenire”. E Micali fa eco a Patricolo che alla fine dell’800 scriveva, in merito “all’imminente vendita di stalli corali, scaffali della sagrestia e del pulpito “opere pregevolissime d’intaglio del 1600 (…) Prego quindi la S.V perché voglia impartire le più severe ed urgenti disposizioni alle autorità competenti di Taormina (…) affinché impedisca tale vendita”. Una vendita che la Soprintendenza non impedisce: ne vieta solo lo smembramento, tutelando la storia del San Domenico e della Sicilia”.

Reliquiario a busto femminile. Legno scolpito, dipinto e dorato, cm 58x40x25. Ambito napoletano, primo quarto sec. XVII

 

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