Potrei chiudere l’articolo qui, ma l’intero affare Florio ha un epilogo grottesco. Tra il materiale promozionale che ho trovato nel sito dell’editore del libro di Iuvara, leggo che l’insegnante di Ispica, nel maggio del 2000, scrisse direttamente alla regina Elisabetta, esprimendosi con queste parole: «La prova provata della vera identità del più grande drammaturgo di tutti i tempi, potrebbe trovarsi, quasi esclusivamente, nella sua biblioteca […], fin qui nascosta a tutti (sicuramente per motivi nazionalistici) ma che, per amore della verità storica (che è al di sopra di ogni considerazione), bisogna avere il coraggio e la saggezza di aprire alla consultazione, almeno, degli studiosi. Il tutto, sperando che, nei quasi quattro secoli trascorsi (1616-2000), dei facinorosi ultranazionalisti non abbiano voluto distruggere, definitivamente, ogni qualsivoglia prova determinante della non britannicità del grande Genio che, inglese o non, farà sempre parte del patrimonio culturale mondiale». Non avendo ricevuto nessuna segnale dalla regina, nel 2002 Iuvara scrisse all’allora primo ministro britannico, Tony Blair. Inutile dire che nessuno dei due destinatari d’Oltremanica degnò il povero Iuvara di uno straccio di risposta.

“è inquietante sapere che nel 2011, poco dopo il conferimento della cittadinanza post mortem a Shakespeare, il Consiglio Comunale di Messina ne abbia fatto proprio il contenuto sollecitando Elisabetta II perché favorisse «approfondimenti culturali», senza quantomeno verificare l’attendibilità dell’ipotesi-Florio”

Non ho avuto il piacere di leggere l’intera lettera, ma è inquietante sapere che nel 2011, poco dopo il conferimento della cittadinanza post mortem a Shakespeare, il Consiglio Comunale di Messina ne abbia fatto proprio il contenuto sollecitando Elisabetta II perché favorisse «approfondimenti culturali», senza quantomeno verificare l’attendibilità dell’ipotesi-Florio. Ora, restando alla lettera di Iuvara, io mi chiedo chi debba avere le chiavi di questa fantomatica biblioteca che conserverebbe i manoscritti shakespeariani. La regina? Non credo, perché le collezioni reali sono interamente consultabili o alla British Library o al Castello di Windsor. O qualche raccolta per accedere alla quale Blair avrebbe potuto esercitare il suo diritto di primo ministro? Anche questo mi sembra assurdo, perché tutte le collezioni pubbliche – specie in Inghilterra e nei Paesi di lingua inglese – devono garantire l’accessibilità a ogni utente. Ciò che invece traspare da queste poche righe che ho riportato è paranoia pura (il duplice riferimento ai «facinorosi ultranazionalisti») degna delle migliori teorie del complotto, alla Dan Brown, mista a un tono vagamente irriverente, se non proprio intimidatorio («bisogna avere il coraggio e la saggezza»), nei confronti degli interlocutori britannici di Iuvara, il cui silenzio lascerebbe trapelare una certa connivenza con i talebani della cultura inglese sopra menzionati. Ora, a mio modesto parere a Elisabetta II o al primo ministro britannico (Blair in particolare) non importerebbe più di tanto se si venisse a sapere che Shakespeare si chiamava in realtà Crollalanza o Florio, visto che hanno (o hanno avuto) gatte ben più grosse da pelare. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che gli esperti di Shakespeare, anche quelli di fama mondiale, non sono per forza inglesi, come mi pare di intuire dalla lettera di Iuvara, ma anche di altre nazioni, fra cui gli Stati Uniti che – se vogliamo giocare al suo gioco – non aspetterebbero altro che poter dimostrare che Shakespeare non era inglese. Ma c’è di più: l’edizione più recente delle opere di Shakespeare pubblicata dalla Oxford University Press a cura di Gary Taylor (uno yankee!), attribuisce alcuni scritti non solo al Bardo, ma ad altri suoi contemporanei che contribuirono a comporli (Marlowe, Jonson, Middleton e altri), sulla base di un’analisi capillare dei pattern linguistici condotta su un corpus di opere coeve a quelle di Shakespeare. Non mi risulta che la regina o Theresa May abbiano protestato.

“non so se questo mio articolo riuscirà a far cambiare idea a chi si ostina ancora a credere alle origini messinesi di Shakespeare. Ma non è a queste persone che mi rivolgo, bensì a chi non ha ancora un’opinione sulle origini di Shakespeare: a loro rivolgo il monito a non bere tutto quello che propinano gli pseudo-storici (o gli pseudo-scienziati o gli pseudo-giornalisti), specie quelli che usano un complotto (degli ultranazionalisti, della chiesa, degli ebrei…) per giustificare le loro elucubrazioni fondate sul nulla”

Viviamo, si sa, in un mondo di post-verità, di verità cioè a cui vogliamo credere sulla base delle nostre credenze, più che per dimostrazioni oggettive, quindi non so se questo mio articolo riuscirà a far cambiare idea a chi si ostina ancora a credere alle origini messinesi di Shakespeare. Ma non è a queste persone che mi rivolgo, bensì a chi non ha ancora un’opinione sulle origini di Shakespeare: a loro rivolgo il monito a non bere tutto quello che propinano gli pseudo-storici (o gli pseudo-scienziati o gli pseudo-giornalisti), specie quelli che usano un complotto (degli ultranazionalisti, della chiesa, degli ebrei…) per giustificare le loro elucubrazioni fondate sul nulla. I lettori avranno forse notato che per tutto il mio scritto non ho mai adoperato la parola “tesi”: una tesi, infatti, presuppone una verifica di una ipotesi, cosa che Iuvara e chi lo ha seguito non ha fatto, non fornendo nessuna prova valida (documenti di archivio, critica degli studi precedenti) a sostegno di quanto ha scritto. La teoria di Shakespeare messinese, lo ripeterò fino alla nausea, non è originale, non è scientifica (perché basata su ricerche non rigorose) e quindi non è vera.

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patrik giovanoli
5 Marzo 2017 12:32

Ho letto con molto interesse. Dei Florio si sta parlando molto, sempre più. È corretto studiare e capire l’apporto alla lingua inglese da parte di John in paticolare e fare conosce al pubblico i due grandi eruditi.
Un cordiale saluto da Soglio, dove Michel Angolo e Jonh Florio abitarono e vissero un periodo sereno.

Patrik Giovanoli

claudio
claudio
9 Gennaio 2018 16:54

Vede, caro compilatore, che pare aver letto solo di sfuggita le opere di Shake-speare e senza avere svolto una comparazione linguistica decente, il paragone Salgari-Shakespeare è quanto di più trito e superficiale si possa fare: perchè Salgari va all’arrembaggio di luoghi innomimati, così alla buona, per sentito dire e letto, mentre lo Shake-speare italiano cita “puntualmente” e “nominalmente”.

claudio
claudio
9 Gennaio 2018 16:55

Spero che Lei sappia chi era Richard Paul Roe.

claudio
claudio
9 Gennaio 2018 17:14

Mi si spieghi come, linguisticamente parlando, Shake-speare avrebbe mai potuto usare termini come “scorn” (scorns of life-Hamlet); “incarnadine” (Macbeth); “mure” (the mure that should confine it in…Henry IV); “fig” (fare le fiche – Henry IV);”Si fortune me , tormente, spero me contento” Henry IV); “sanctimony”- santimonia – Otello. A proposito, Lei sa cosa si intende per “santimonia”?…

claudio
claudio
9 Gennaio 2018 17:22

E poi Le do il benservito: si rilegga il Tito Andronico e ci troverà Giordano Bruno. Non mi venga a dire che lo Shake-spere di Stratford ha pure conosciuto il pensiero di Bruno, perchè farebbe una figura di merda, sit venia verbo.

claudio
claudio
9 Gennaio 2018 17:29

Sono in attesa di una replica “consistente”.

claudio
claudio
9 Gennaio 2018 18:03

E poi, già che ci siamo, mi si spieghi “come”, alla fine cinquecento, possa qualcuno aver avuto accesso alle opere del Cinthio , quasi introvabili in Italia e tradotte in Inglese solo nel 1638-40, prima che queste avessero varcato le Alpi: dico degli “Hecatommiti” per non parlare del Decameron, che si sa chi l’abbia tradotto in inglese e n o n e r a s h a k e – s p e a r e, bensì JOHN FLORIO.

claudio
claudio
9 Gennaio 2018 18:26

Shake-speare “messinese” è un “bullshit”. Vero. Ma che Michelagnolo Florio vi abbia dimorato è certo. E Michel Agnolo era un erudito, funambolo della “parola”; un Francescano passato alla Riforma che per ventisette mesi ,incapricciato e in odor di pira, sta mella Fossa a Tor di Nona: ventisette mesi di tortura = Hamlet: “ammazzarsi o non ammazzarsi”. “Essere o non essere”.

claudio
claudio
9 Gennaio 2018 20:22

Ah, già, poi v’è da spiegare come un terrigno indotto di barcame sappia agevolmente usare termini marinareschi come “brings” fatte d'”oak” and iron; “mortise” e “veronese” e “ragusina” e come sappia “come il regno di Cipro entrò in contatto con i Veneziani” e cosa siano i “bond-slaves”, schiavi della Repubblica di Venezia che aveva ripudiato la schiavitù, ma che usava schiavi remiganti in Adriatic

claudio
claudio
9 Gennaio 2018 20:24

Mi dica.

claudio
claudio
10 Gennaio 2018 14:26

Last, but not least: i “drammi storici”. Come può un italicus ore, anglus pectore sapere tanta storia inglese? Lei sa chi era Samuel Daniel? Era uno storico che compilò i 4 “Libri delle suerre civili”. E, allora? Allora, era il cognato di John Florio.

claudio
claudio
10 Gennaio 2018 14:32

E chi ha compilato il PRIMO dizionario “Italiano-Inglese” della storia? Due edizioni: “Worlds of Wordes”, 1598/1611? E chi ha tradotto Montaigne PER LA PRIMA VOLTA in Inglese? E chi ha tradotto PER LA PRIMA VOLTA il Decameron in quella lingua?

claudio
claudio
10 Gennaio 2018 14:40

Si rilegga il “Riccardo III”, Atto III, sc II: lì c’è una “firma”, eufuistica, ovviamente. Un prete: John e un nome di regina “Margherita”. Cos’è una “margherita”? Prete John più “margherita”= ?

claudio
claudio
10 Gennaio 2018 14:42

In più, subito dopo, c’è uno strano commento di uno “scrivano”, una delle scene in assoluto più corte di tutta la drammaturgia shake-spear-iana.