0. Lo Stretto di Messina appare essere stato oggetto, nel corso degli ultimi quattromila anni, di dinamiche di “investimento di senso”, intendendo con tale espressione più che la specialissima natura dei luoghi la lucida consapevolezza – manifestatasi in seno a numerose culture e tradizioni letterarie – della peculiare specificità dello Stretto quale tòpos privilegiato per un serie impressionante e davvero sterminata di produzioni dell’immaginario da parte di numerosi popoli e culture.

1. Lo Stretto di Messina, prima ancora di essere una realtà fisica, geografica, geologica, orografica, marina etc., è una realtà “sognata”, plasmata e riplasmata nel corso dei secoli, costruita, negoziata continuamente in quanto alle sue caratteristiche e ai suoi orizzonti.

2. Sullo Stretto si sono nel tempo dispiegate diverse tipologie di sguardo: geografico (Lucio Gambi), naturalistico (Athanasius Kircher), storico (Gaetano Cingari), mitologico (Apollonio Rodio), artistico (Casembrot XVII sec., Juvarra, Joli, Hackert XVIII sec., Panebianco XIX sec.), antropologico (Serge Collet XX sec.) ……..

Lo stretto raffigurato nel quadro di Letterio Subba Il gigante Orione ricostruisce Messina (metà ‘800) non è certamente lo stesso che Antonello ci presenta nella Crocifissione di Sibiu (1460 ca,), ed entrambi hanno poco a che fare con lo stretto rappresentato nelle miniature medievali, negli acquerelli di Tiburzio Spannocchi (1578, Bibl. Naz. Madrid), nei disegni di Camillo Camilliani (1583, Bibl. Naz. Univ. Torino), nei disegni di Filippo Juvarra (1716, Bibl. Naz. Univ. Torino), nelle incisioni cartografiche cinque, sei, sette, ottocentesche, nei dipinti più o meno illustri rivolti a questo angolo di mondo.

3. Lo stretto di Messina è un’ “area magnetica (Bartolo Cattafi).

C’è una distanza fisica tra le due sponde, e una distanza metafisica, simbolica (adombrata dal fenomeno della Fata Morgana, al contempo realtà catadiottrica e leggendaria).

Due sponde in perenne dialogo attraverso i flussi energetici della “rema montante” (dalla Sicilia alla Calabria) e della “rema scendente” (in senso inverso).

4. Plinio, Strabone, Polibio, Tucidite hanno parlato dello Stretto, ciascuno a suo modo proponendo un atlante delle identità. Tale pluralità di sguardi e di scritture si è ulteriormente arricchita nel corso dei secoli, sicché oggi l’area dello Stretto si presenta come una sorta di melting pot, al cui interno beni materiali e beni volatili hanno trovato un luogo privilegiato di vita e di coltura:

  1. Miti di fondazione: Zanclo, Crono vs Urano, Orione;
  2. Mitologie nello Stretto- Poseidone, Sirene (Leucosia, Partenope, Ligea);
  3. Mitologie a Capo Peloro- Peloro (marinaio di Annibale), Ninfa Peloria, Tifeo-Tifone, Zeus Pelorios;
  4. Eroi- Ercole (passa dallo stretto con la mandria di buoi di Gerione), Ulisse, Enea, Argonauti;
  5. Metamorfosi- Glauco, Scilla e Cariddi;
  6. Leggende- Arione e il delfino, Colapesce, Artù, Fata Morgana;
  7. Mitologie popolari- Le storie di Giufà;
  8. Presenze sacrali e numinose- Madonna della Lettera, San Paolo, San Francesco di Paola, Madonna della Scala, S. Maria Bimaris (Dinnammare);
  9. La Falce e la presenza di San Raineri;
  10. Il pellegrinaggio a Polsi e le devozioni comuni alle comunità costiere siciliane e calabresi;
  11. Le Vare (Messina e Palmi) e i Giganti, siciliani e calabresi;
  12. I laghi di Faro e Ganzirri e la molluschicoltura;
  13. La pesca del corallo nello Stretto;
  14. La caccia al pesce spada nello Stretto;
  15. La cantieristica tradizionale e i mastri d’ascia, siciliani e calabresi;
  16. L’emigrazione, la partenza e il viaggio.
  17. Maria Costa, Stefano D’Arrigo e i miti di Horcynus Orca, etc. etc.

Le cause di una tanto vasta messe di leggende, tradizioni, mitologie, usi e costumi vanno certamente ricondotte alla natura geograficamente e geologicamente oltremodo speciale di quest’area, ma tra esse pare probabile che abbia storicamente assunto una peculiare pregnanza la liminarità. Questa può essere vista come propria di uno spazio di confine, e pertanto come “zona neutra” che consente ai confinanti di sentirsi protetti e rassicurati all’interno del proprio spazio, ma – altresì – anche come luogo di scambi, di interferenze, di travasi di uomini, merci, idee e modelli culturali. Non è privo di significato che nell’antichità alcuni collocassero l’ubicazione delle colonne d’Ercole proprio nello stretto di Messina.

Laddove un tratto di mare separa due terre in origine unite, si avverte in modo particolare il senso del confine. La natura tettonicamente precaria dell’areale ha inoltre contribuito ad accrescere le caratteristiche di confine, di margine indefinito e, per ciò stesso, rischioso, precario come tutti gli spazi che non stanno “al centro” ma si affacciano su un “altrove”. La leggenda di Colapesce, laddove si riferisce della condizione d’instabilità in cui verserebbe quest’angolo di Sicilia a causa dell’ammaloramento della colonna che lo sostiene, altro non sarebbe dunque che una metafora della “instabilità” naturale del sito.

Teoria della Sicilia. Là dove domina l’elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell’isola è segnata da questa certezza. Un’isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull’instabile. Per ogni isola vale la metafora della nave: vi incombe il naufragio. Il sentimento insulare è un oscuro impulso verso l’estinzione. L’angoscia dello stare in un’isola come modo di vivere rivela l’impossibilità di sfuggirvi come sentimento primordiale.
La volontà di sparire è l’essenza esoterica della Sicilia. Poiché ogni isolano non avrebbe voluto nascere, egli vive come chi non vorrebbe vivere: la storia gli passa accanto con i suoi odiosi rumori ma dietro il tumulto dell’apparenza si cela una quiete profonda. Vanità delle vanità è ogni storia. La presenza della catastrofe nell’anima siciliana si esprime nei suoi ideali vegetali, nel suo taedium storico, fattispecie del nirvana. La Sicilia esiste solo come fenomeno estetico. Solo nel momento felice dell’arte quest’isola è vera
.” (Manlio Sgalambro, Il Cavaliere dell’Intelletto, 1994)

5. Lo stretto si pone dunque come nodo critico irrisolto.

Alla famosa espressione di Giovanni Gentile, di una “Sicilia sequestrata dal mare …..”

Si potrebbe contrapporre l’asserzione di Turi Vasile, secondo cui “L’insularità della Sicilia è il segreto – non dei suoi limiti – ma della sua simbiosi col mondo”.

6. Lo Stretto di Messina è, peraltro, una sorta di ombelico del Mediterraneo, trovandosi al contempo equidistante e luogo di interferenze tra nord e sud, tra est e ovest. In ragione di tale peculiare posizione ha registrato nel corso del tempo il passaggio e spesso lo stanziamento di numerosi popoli e culture, portatori di forme assai diverse di civiltà; a seguito di ciò esso si è venuto costituendo come un palinsesto territoriale che ha visto progressivamente stratificarsi contesti, fenomeni e realtà “immateriali” di varia natura, fabulazioni, saperi, memorie che dal mondo antico fino ad oggi hanno continuato a segnare con la loro molteplicità il peculiare habitat antropologico che si è determinato in questo tratto di mare, finendo con il costituire un unicum di cui non esiste eguale.

7. Uno degli specchi d’acqua più movimentati al mondo e, paradossalmente, uno degli angoli di mondo più marginale.

Tale “marginalità” è ascrivibile tanto a cause ed agenti esterni, quanto a un progressivo distacco degli abitanti dal mare quale loro orizzonte naturale. Gli abitanti di Messina vivono “etsi fretus non daretur”, come se lo stretto non esistesse. Ciò è in parte dovuto alla perniciosa mutazione antropologica che ha investito l’intero Paese (ma questa città in modo particolarmente grave), a seguito della quale nessuno degli orizzonti esistenziali prima vigenti ha mantenuto il proprio senso; in parte alle dissennate politiche locali che hanno stuprato la bellezza, il decoro, il garbo e le ragioni urbanistiche di un luogo mantenutosi ameno per secoli e poi, in pochi decenni, divenuto non-luogo, privo di storia, di memoria e di una società civile capace di difenderlo dalle speculazioni e dagli interessi privati. 

8. E’ probabile che il futuro culturale (e quindi il futuro tout court) di questa città dipenda dalla capacità che potrà dispiegare la sua comunità di ri-trovare, ri-costruire un genius loci plausibile, in grado di tornare a fornire ai messinesi orizzonti simbolici condivisi. Per far ciò occorrerebbe in ogni caso che essa si rendesse capace di riconoscere i parassiti che hanno mortificato la città e di sperimentare strategie atte a liberarsene per sempre.

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