Francantonio Genovese si appresta ad entrare a Montecitorio.
Occasione questa che ha fatto indignare molti.

Tornare in Parlamento poche settimane dopo una condanna a 11 anni e all’interdizione dai pubblici uffici certamente qualche effetto lo provoca, non si può negare. Tuttavia, si fa un gran parlare di populismo, lo temono questi, lo rigettano quegli altri. Ma qualcuno che non lo cavalchi è difficile da scorgere all’orizzonte.

Non cavalcare il populismo però cosa vuol dire?

Mi pare che il caso Genovese possa essere significativo al riguardo. Se volessi cavalcare un’onda emotiva scriverei adesso qualcosa che vada incontro ai vostri istinti, sfruttando ogni aggettivazione possibile per sfogare la mia indignazione e scatenare la vostra. Invece preferisco fare chiarezza e riportare l’indignazione lì dove deve stare.

Mi tocca ricordarvi subito, quindi, che il deputato messinese ha fatto sette mesi di carcere, 12 di domiciliari e 15 di obbligo di dimora. Questo è successo prima che un tribunale lo condannasse. Si chiamano misure cautelari. Ovvero restrizioni della libertà altrui prima ancora che si certifichi la responsabilità dell’indagato o imputato. Quindi in assenza di un giudizio una persona può essere costretta da questi provvedimenti. Può succedere perché si teme l’inquinamento delle prove, la reiterazione del reato o che il soggetto fugga. Solo per questi tre motivi ed esclusivamente con gravi indizi di colpevolezza. L’amministrazione giudiziaria non può limitare la libertà di un individuo in assenza di queste condizioni.

Nel caso di Genovese è stato fatto: in presenza delle condizioni previste, la sua libertà è stata limitata per 34 mesi consecutivi. Cioè per quasi tre anni.

Ora vi chiedo vorreste voi che un tribunale giudicasse in base alla possibilità di movimento politico di un individuo oppure in base alla legge? Il Tribunale del riesame ha rigettato in due occasioni il ricorso presentato dal deputato. Questa è la prima volta che lo accoglie dopo che la Cassazione ha messo una pietra tombale sulla gravità indiziaria. Io non so se sussistessero gli elementi per costringerlo ancora a Messina e non lo sapete neanche voi. Possiamo immaginare che il pericolo di fuga fosse da escludere. Che lo fosse anche la possibilità che inquini le prove, dal momento che le prove sono ormai state definitivamente acquisite dal processo in primo grado. Riguardo alla reiterazione del reato non so esprimermi e dubito che lo possiate fare voi.

Infine, gli ultimi punti giudiziari da chiarire: l’interdizione scatta dal momento in cui la condanna diventa definitiva. E la Severino fa decadere i parlamentari soltanto dopo il giudizio definitivo, mentre prevede la possibilità della sospensione dopo una sentenza di primo o secondo grado – dipende dal reato – solo per i deputati regionali e gli amministratori locali.

Capisco tuttavia che il suo ritorno attivo in politica provochi sconcerto. Non ci si scordi poi che il deputato è stato anche rinviato a giudizio per concorso in corruzione elettorale.

Vi dirò però adesso cosa indigna me, indignazione che poco ha a che fare con Francantonio Genovese. Quel che smuove e ingigantisce la mia insoddisfazione, il mio sgomento è l’esistenza di un sistema politico, sociale, economico che permetta si creino le condizioni per l’accumulo di potere sempre politico, sociale, economico nelle mani di poche persone o addirittura di una soltanto. Il problema è questo, non un altro. Lo si può identificare in Genovese oggi, in Franza ieri e domani, o in chiunque altro vogliate. Mostrerà sempre un tessuto sociale debole, frammentato. Rapporti economici viziati da rapporti di forza, inseriti in un sistema economico che non ha neanche lontanamente l’odore del capitalismo bensì il serio aspetto di un forte retaggio feudale.

Lo so, sto allargando le responsabilità, diluendole in un vago orizzonte di criticità. E a guardar così le cose, l’indignazione non scova la via per uno sfogo salutare ed efficace. Mi tocca però chiedervi uno sforzo. Perché il problema non è che Genovese possa sedere adesso, dopo una condanna, di nuovo in parlamento. Ma se un problema c’è è che ci sedesse già da prima. Non possiamo demandare ai giudici la risoluzione di un problema ben più ampio. Guardiamoci allo specchio. L’opinione pubblica di questa città è praticamente inesistente se non ininfluente. Qualora fosse da considerare influente sarebbe lo stesso condizionata da un sistema feudale di rapporti economici e sociali.

I grillini continuano a rispondere che i parametri di destra e sinistra sono superati. Concetto che di base non ha alcun senso. È più o meno come dire che le categorie di cielo e terra sono ormai obsolete.

Fintanto che la ricchezza resterà nelle mani di pochi non ci sarà tribunale al mondo che potrà dare pace alle ingiustizie che subirete, perché le subirete. E avrete iniziato a subirle esattamente nello stesso momento in cui avete allargato la mano per chiedere l’elemosina al potente di turno. E l’avete fatto più o meno tutti. Siate onesti.

Allargare la ricchezza e garantire i diritti è politica di sinistra. E non è una politica superata. Anzi, è sempre più urgente, principalmente in un territorio come questo. Ed è l’unica che possa mettere fine a questo sistema di vassallaggio.

Dire che sinistra e destra sono superate risponde sempre a quella semplicità nel cavalcare gli istinti e le passioni, allontanandosi e tanto dalla verità. I grillini lo fanno perché vogliono sembrare diversi dai partiti che storicamente sono schierati secondo questi parametri. Ma non sono i parametri ad essere superati, i principi. Non sono superati neanche i partiti in quanto tali ma quei partiti.

Io spero in una politica di sinistra che aspiri ad un sistema in cui il potere socioeconomico non si accumuli senza controllo nelle mani di poche persone o famiglie. Spero in una politica che garantisca il diritto al lavoro e la dignità di tutti, quartieri degradati compresi. Perché ciò avvenga però, ne sono consapevole, serve lo sforzo di ognuno e di tutti. Gridare all’ingiustizia e basta è un atteggiamento infantile. Un capriccio insopportabile.

È il momento di rimboccarsi le maniche, di fare uno sforzo. O di soccombere.

Io scelgo di credere che questa frammentazione possa essere ricomposta. Che Genovese, o chi per lui, possa non sedere a Montecitorio non perché un provvedimento glielo impedisca ma perché noi non glielo abbiamo consentito. Io credo in uno sforzo singolo e collettivo. E credo che questo sforzo, e solo questo, possa cambiare la realtà e renderci felici.

Perché la felicità, ne sono certa, è ancora possibile.

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